Come abbiamo già visto, l'obiettivo principale di un recital di canto deve essere quello di dare il massimo piacere al pubblico e ciò deve essere fatto nel rispetto delle qualità e dei limiti dell’artista. Il cantante deve mostrare e utilizzare i suoi punti di forza: la capacità di ricercare repertori inusuali, l’abilità nelle lingue, le conoscenze e le abilità ritmiche o stilistiche, e via dicendo. Per comporre un programma di successo, in cui nulla sia fuori posto e tutto appaia perfetto nella sua semplicità, ci vogliono senz’altro (buon)gusto, modestia e capacità di giudizio. Quanti cantanti non riescono a capire ciò che veramente appartiene a loro, quanto a vocalità e personalità, e insistono invece a volersi esibire con brani che probabilmente amano, ma che non si addicono a loro neanche lontanamente!
Organizzare un recital di canto è come confezionare la propria arte per regalarla al pubblico.
Vi è capitato di trovarvi al concerto di qualche celebrità (anche in teatri molto importanti) e rimanere profondamente delusi ascoltando un programma fatto di numeri triti e ritriti, semplicemente accostati uno all’altro? A me sì.
Ci si giustifica adducendo il fatto che il pubblico non accoglie con favore la musica poco conosciuta e per questo considerata ‘difficile’, ma ciò non è assolutamente vero: ogni pubblico normalmente intelligente è naturalmente portato ad accogliere e apprezzare nuovi brani, purché interpretati in modo artisticamente chiaro e comprensibile. Bisognerebbe andare a ricercare la chiusura al nuovo e alla scoperta più nel cantante che nel pubblico!
Un programma ben costruito deve quindi possedere:
Varietà, per afferrare l’attenzione dell’ascoltatore e poi mantenerla. Da una parte essa può alleggerire il carico richiesto all’interprete, dall’altra può prevenire il fatto che il pubblico, o almeno una parte di esso, possa annoiarsi e perdere attenzione.
Unità: essere un tutt’uno composto da parti ben bilanciate tra loro, senza punti deboli e conseguenti cadute d’interesse, con un climax interno ben definito.
Cambi di atmosfera (mood): non è certo facile per un cantante alternare umore e sentimenti un brano dopo l’altro, ma la mancanza totale di questi cambi purtroppo annoia a morte l’ascoltatore. I passaggi non devono essere per forza improvvisi o violenti, ma devono esserci!
Tonalità in giusta (perché ragionata) sequenza. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, facilmente infatti possono originarsi 'scontri' armonici e timbrici che tranciano l'atmosfera e spostano bruscamente l'attenzione, invece di guidarla in modo efficace.
Cambi di tempo: fare attenzione alle velocità e agli schemi ritmici, perché non si succedano sempre uguali, è essenziale quanto variare le atmosfere e gli stati d'animo.
Come nella vita, è sempre utile, dopo aver stabilito l’obiettivo principale, ‘spacchettare’ i passaggi necessari per raggiungerlo. Per questo è buona cosa individuare e delineare, all’interno del programma, alcuni gruppi di brani e costruire ognuno di essi utilizzando lo stesso "schema climax" che modella il programma nella sua totalità.
Di che si tratta?
Lo schema ha come punti fermi l’inizio e la fine del concerto. Il primo brano che si esegue è certamente il più importante, dal punto di vista della creazione di un rapporto di fiducia e scambio con il pubblico. La potenza di una prima impressione è sempre molto grande, anche in campo artistico ed esecutivo! Si tratta di un passaggio fondamentale anche per il cantante: servirà come riscaldamento, per acclimatarsi all’acustica della sala, per tranquillizzarsi e per stabilire il contatto con gli ascoltatori.
Il consiglio è quello di scegliere un ‘cavallo di battaglia’, un pezzo che si padroneggi in modo assoluto, a prova di nervosismo. Un brano lento, melodico che possa diventare davvero ‘impressionante’ per il pubblico perché eseguito con la massima sincerità, il nostro miglior biglietto da visita all'ingresso in palcoscenico .
Il susseguirsi dei brani deve tendere a un crescendo di emozione, anzi proprio costruirsi intorno a un pezzo chiave (climax) che, se prevista, potrebbe anche essere un'aria d’opera. L’importante è che non sia troppo conclusivo, ma che possa invece gradualmente accompagnare al numero finale, quello ‘definitivo’, la degna fine di un concerto memorabile. L'obiettivo è quello di lasciare il pubblico di buon umore, ben disposto: niente di meglio allora che terminare con un brano brillante, che, lasciando in bocca un buon sapore, accenderà il desiderio di ascoltare ancora qualcosa.
All’interno di ogni gruppo di brani, le sezioni che compongono armonicamente l’unità recital, occorre seguire le stesse poche regole, cercando di costruire in essi un piccolo climax o crescendo. In genere 4 parti composte da 4/5 brani ciascuna compongono un recital della giusta durata. L'ordine cronologico ha un valore importante, perché senza dubbio la musica vocale si è evoluta nel tempo, non solo dal punto di vista musicale, ma anche delle emozioni e dell'espressività. Seguire un ordine temporale ha il plus di collocare facilmente il tutto nel fluido susseguirsi della storia umana; non seguirlo richiede maggiore sforzo nell'esecuzione e nell'ascolto e deve avere forti motivazioni a supporto.
Ecco qui sotto una struttura piuttosto standard, ma sempre efficace, di un buon programma.
Gruppo 1 - brani di musica antica. Stile ben definito e riconoscibile, eccezionali melodie, impegno tecnico non eccessivo e possibilità espressive ampie. Perfetti per combinare un inizio morbido con la 'conquista' del pubblico.
Gruppo 2 - Lieder, Mélodies, Art Songs, Folk Songs, Canzoni. Insomma, musica vocale da camera nelle forme, nello stile e nella lingua che più amate. Il cuore del concerto, da prolungare e variare sconfinando nella sezione successiva.
Gruppo 3 - Il posto perfetto per una o forse più arie d’opera, sempre che ciò rientri nel tipo di di recital che presentate al pubblico. In linea di massima è piacevole ascoltare un’aria d’opera anche all’interno di un recital cameristico, sempre che la si contestualizzi all’interno del resto del repertorio, per tema, lingua, stile, epoca. (Non è mai raccomandabile aprire invece il concerto con l’aria d’opera, sia dal punto di vista stilistico sia tecnico.)
Gruppo 4 - Uno sguardo ampio ai nostri giorni: quattro brani contemporanei o quasi, anche a cavallo tra i generi, con libertà e creatività. La scelta all’interno del repertorio inglese o americano, per esempio, è praticamente infinita, ma ci si può divertire a trovare qualcosa di fresco e nuovo anche nella propria lingua. L’importante è che siano brani contrastanti tra loro per stato d’animo, dal momento che l’ascoltatore è già stato condotto (se abbiamo fatto un buon lavoro) sulla strada della varietà per i tre quarti del concerto e abbiamo bisogno di un suo ultimo guizzo di attenzione per attrarlo al gran finale. Con un occhio di riguardo a quello che potrà essere il nostro stato psicofisico alla fine della serata, scegliamo con cura gli ultimi brani per risultare freschi, brillanti e luminosi
BIS - Non c’è motivo per non eseguire dei fuori-programma se il pubblico li richiede. Attenzione però a non esagerare, meglio lasciare un pubblico desideroso di qualcosa in più che stanco e annoiato! Prevediamo dei bis ‘leggeri’ e piacevoli, che non si scostino troppo dall’atmosfera che abbiamo creato con l’ultimo gruppo di brani.
Un buon recital non dovrebbe superare i 90 minuti di durata, in linea generale. Potrebbero però esserci altri aspetti da considerare per eventualmente ridurre tale durata: il luogo, il contesto, la stagione, l’età del pubblico o la sua nazionalità...sono molti i fattori da tenere in considerazione, ragionando sempre con fiducia nelle capacità di chi ci ascolta, ma anche con freddo pragmatismo.
Per concludere ecco alcuni errori da evitare con impegno!
Programmare un recital con pianoforte fatto prevalentemente di arie d’opera. L’opera è fatta per il teatro, vi sfiancherete e, molto probabilmente, stancherete anche il pubblico. L’opera è grande, ma non è che un sottoinsieme del Canto: potete offrire molto di più.
Costruire un programma banale e povero, con il solo obiettivo di arrivare ‘freschi’ per i bis operistici. Un’usanza, purtroppo, anche di molti cantanti italiani, più o meno famosi. A qualcuno potrà anche piacere, ma il gusto e la creatività rimangono un nutrimento insostituibile e assai più ricco per il pubblico.
Rovinare il ricordo di un programma magari perfetto eccedendo nei fuori-programma e stancando irrimediabilmente gli ascoltatori.
Cantare uno o più brani che non ci piacciono davvero o che non abbiamo veramente capito e assimilato. Sincerità di espressione prima di tutto.
Riproporre in concerto sempre gli stessi brani, senza divertirsi a cercare costantemente qualcosa di originale e nuovo. Più materiale si ha a disposizione, più diventa facile costruire 1, 10, 100 interessanti programmi.
Rubare brani scritti per l’altro sesso, valido sia per le donne che per gli uomini. Conoscere bene il testo poetico, lo stile vocale e le tradizioni di ciò che mettiamo in programma fa parte del mestiere di cantante e musicista; in caso di dubbi potete sempre chiedere consiglio a chi ne sa di più!
Per scrivere questa piccola guida ho attinto alla mia esperienza personale e ad alcune interessanti letture, che ovviamente ti consiglio:
Weldon Whitlock, Building a program, The NATS Bulletin - October 1963
Harry Plunket Greene, Interpretation in Song, 1931
Carol Kimball, Art Song - Linking Poetry and Music, 2013
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